frequenza di un onda EM in fisica classica e quantistica

Area riservata alla discussione di argomenti concettuali di fisica, non necessariamente legati ad uno specifico problema
Rispondi
donniedarko
Messaggi: 1
Iscritto il: 21 gen 2022, 11:17

frequenza di un onda EM in fisica classica e quantistica

Messaggio da donniedarko » 21 gen 2022, 11:19

in fisica classica, quando una particella carica oscilla, emette un'onda elettromagnetica, e la frequenza dell'onda dipende dalla frequenza con la quale la particella oscilla.
Ma in fisica quantistica, quando un atomo eccitato emette un fotone, l'energia del fotone dipende dall'ampiezza dei salti quantici che l'elettrone che lo emette fa (se salta di un livello, il fotone avrà una determinata energia; se ne salta due, un'energia maggiore, e così via). Quindi la frequenza dell'onda elettromagnetica che corrisponde al fotone dipenderà dall'ampiezza dei salti quantici effettutati dall'elettrone.
Non capisco perchè questi due casi sono così diversi. In analogia con il caso classico, la frequenza dell'onda emessa dall'atomo non dovrebbe dipendere dalla frequenza con la quale l'elettrone effettua i salti quantici? Oppure c'è una spiegazione quantisitca del caso classico che non capisco? So che non si può usare la fisica classica per spiegare fenomeni quantisitici, ma mi sembra strano che ci sia questa asimmetria nei due casi. Scusate in anticipo se la domanda è dumb; mi sto avvicinando alla fisica quantistica perchè è un argomento che mi appassiona tantissimo, ma ho una formazione totalmente diversa... grazie se riuscite a farmi un po' di chiarezza in modo semplice!

Tarapìa Tapioco
Messaggi: 149
Iscritto il: 30 lug 2023, 15:28

Re: frequenza di un onda EM in fisica classica e quantistica

Messaggio da Tarapìa Tapioco » 26 ott 2023, 16:58

Prima di tutto, appare fondamentale porre l'accento su alcune regole di base della Meccanica Quantistica, che vengono spesso enunciate in termini di assiomi o postulati, benché ciò non sia essenziale ai fini della loro validità pratica. Queste regole descrivono la base del formalismo quantistico (sebbene, in alcune interpretazioni, alcune di esse non siano considerate fondamentali, ma valgano solo come regole empiriche o effettive per scopi pratici) e si trovano in quasi tutti i libri di testo introduttivi di Meccanica Quantistica, tra cui: Basdevant 2016; Cohen-Tannoudji, Diu and Laloe 1977; Dirac 1930, 1967; Gasiorowicz 2003; Greiner 2008; Griffiths and Schroeter 2018; Landau and Lifshitz 1958, 1977; Liboff 2003; McIntyre 2012; Messiah 1961; Peebles 1992; Rae and Napolitano 2015; Sakurai 2010; Shankar 2016; Weinberg 2013, e persino Ballentine 1998 (che, pur rifiutando la regola contrassegnata con come fondamentale, la ricava comunque come regola effettiva). Esistono generalizzazioni di queste regole (ad esempio, Auletta, Fortunato e Parisi 2009; Busch, Grabowski and Lahti 2001; Nielsen and Chuang 2011) per autovalori degeneri, stati misti e misure non definite da operatori autoaggiunti se non dalle POVM (Positive-Operator Valued Measure, misura a valori operatoriali positivi).
Nell'enunciazione delle regole, il testo in corsivo corrisponde ai sistemi fisici, alla loro preparazione, alla misurazione, ai valori misurati, etc; il testo non in corsivo corrisponde a semplici oggetti matematici rappresentanti il sistema fisico, etc...

Un sistema quantistico viene descritto utilizzando uno spazio di Hilbert Spesso si assume che quest'ultimo sia separabile, cioè che abbia una base ortonormale numerabile.

Uno stato puro di un sistema quantistico è rappresentato da un vettore normalizzato in ; vettori di stato che differiscono solo per un fattore di fase di valore assoluto rappresentano lo stesso stato. Nella rappresentazione della posizione, ove lo spazio di Hilbert è lo spazio delle funzioni a quadrato sommabili (o integrabili) di un vettore posizione è chiamata funzione d'onda del sistema.

Nota: Per essere precisi, uno stato puro non è rappresentato da un vettore unitario, ma da un raggio unitario, cioè dalla classe di equivalenza , con e vettore normalizzato in . In modo equivalente, uno stato puro può essere rappresentato da un operatore di densità di rango che soddisfa e . Gli stati misti sono rappresentati da operatori di densità hermitiani più generali (non idempotenti) a traccia .

L'evoluzione temporale di un sistema quantistico isolato rappresentato dal vettore di stato è data da , dove è l'operatore di Hamilton e è la costante di Planck. Questa è chiamata equazione di Schrödinger. Tale regola è valida nella formulazione della Meccanica Quantistica chiamata rappresentazione di Schrödinger (Schrödinger picture). Esistono altre formulazioni equivalenti dell'evoluzione temporale, in particolare la rappresentazione di Heisenberg (Heisenberg picture) e quella dell'interazione di Dirac (Dirac picture o interaction picture), in cui l'evoluzione temporale è interamente o parzialmente spostata dal vettore di stato agli operatori.

Nota: È equivalente definire l'evoluzione temporale di un sistema quantistico isolato mediante , con l'operatore unitario di evoluzione temporale L'evoluzione descritta poc'anzi viene perciò definita anche evoluzione unitaria.

Un'osservabile di un sistema quantistico è rappresentata da un operatore hermitiano con spettro reale che agisce su un sottospazio denso di .

Nota: Equivalentemente, è autoaggiunto.

I possibili valori misurati di una misurazione di un'osservabile sono i valori spettrali del corrispondente operatore . In caso di spettro discreto, questi sono gli autovalori che soddisfano .

Sia un insieme completo di autovalori (generalizzati) dell'operatore autoaggiunto con valori spettrali . Sia il sistema quantistico preparato in uno stato rappresentato dal vettore di stato . Se si esegue una misurazione dell'osservabile corrispondente ad , la probabilità di trovare il valore misurato è data da . Questa è la regola di Born, in una formulazione che assume che tutti gli autovalori siano non degeneri.

Nota: Nel caso di sottospazi degeneri, sia un insieme completo di autovalori (generalizzati) di , indicizzati da . La probabilità di trovare il valore misurato è quindi data dalla somma (o dall'integrazione) su , cioè sull'intero -sottospazio

Per misure proiettive successive e non distruttive con risultati discreti, ogni misurazione con valore di misura può essere considerata come la preparazione di un nuovo stato il cui vettore di stato è il corrispondente autovettore , da utilizzare per il calcolo dell'evoluzione temporale successiva e di ulteriori misurazioni. Questo è chiamato postulato della proiezione di von Neumann.

Nota: Il postulato della proiezione di von Neumann è valido soltanto sotto le ipotesi indicate: ne sono un esempio le barriere di passaggio con fori o fenditure, i filtri di polarizzazione e alcuni altri strumenti che modificano lo stato di un sistema quantistico che lo attraversa. Questo cambiamento (non unitario e dissipativo) dello stato in un autostato nel corso di una misurazione proiettiva viene spesso definito "riduzione di stato", "collasso della funzione d'onda" o "riduzione del pacchetto d'onda". Si noti come non vi sia conflitto diretto con l'evoluzione unitaria della Nota applicata alla poiché, durante una misurazione, un sistema non è mai isolato. In altri casi, lo stato preparato può essere molto diverso (si veda la discussione in Landau and Lifschitz, Vol. III, Par. 7). Il tipo più generale di misurazione quantistica e lo stato preparato risultante sono descritti dalle cosiddette misure a valori operatoriali positivi (POVM).

Queste regole non dicono nulla sul problema - praticamente molto importante - di come gestire un sistema quantistico non isolato al di fuori di contesti di misura espliciti. Pertanto, esse rappresentano solo una guida approssimativa al significato della meccanica quantistica in generale; l'applicazione pratica delle regole richiederebbe ulteriori ipotesi e sviluppi.

Terminata questa presentazione, fondamentale per comprendere appieno le nozioni di Quantum Mechanics, si passi al problema specifico.
donniedarko ha scritto:
21 gen 2022, 11:19
in fisica classica, quando una particella carica oscilla, emette un'onda elettromagnetica, e la frequenza dell'onda dipende dalla frequenza con la quale la particella oscilla.
Qualcosa di simile è valido anche per la fisica quantistica: si parla di principio di corrispondenza. Bisogna tuttavia prestare attenzione quando si parli di frequenza o velocità degli elettroni: essi possono anche essere descritti come onde e bisogna distinguere tra velocità di fase e velocità di gruppo. Un atomo di idrogeno può avere stati altamente eccitati (stati di Rydberg), in cui l'elettrone si muove "lentamente" e i livelli energetici dell'elettrone sono strettamente distanziati, con conseguenti frequenze "basse" allorché l'elettrone salta da un livello all'altro.
donniedarko ha scritto:
21 gen 2022, 11:19
in fisica classica, quando una particella carica oscilla, emette un'onda elettromagnetica, e la frequenza dell'onda dipende dalla frequenza con la quale la particella oscilla.
Ma in fisica quantistica, quando un atomo eccitato emette un fotone, l'energia del fotone dipende dall'ampiezza dei salti quantici che l'elettrone che lo emette fa (se salta di un livello, il fotone avrà una determinata energia; se ne salta due, un'energia maggiore, e così via). Quindi la frequenza dell'onda elettromagnetica che corrisponde al fotone dipenderà dall'ampiezza dei salti quantici effettutati dall'elettrone.
Questa immagine non è corretta secondo la moderna Teoria Quantistica (quella scoperta in parallelo da Heisenberg, Born, Jordan e Schrödinger e Dirac nel 1925/1926).

Gli stati stabili di un atomo costituiscono gli autostati dell'Hamiltoniana, trascurando l'accoppiamento con il campo di radiazione quantizzato, cioè tenendo conto solo dell'interazione coulombiana tra il nucleo atomico e gli elettroni e tra gli elettroni (nonché dei loro momenti magnetici per ottenere la corretta struttura fine e iperfine).

L'accoppiamento con il campo elettromagnetico quantizzato viene poi preso in considerazione dalla teoria delle perturbazioni. Questo porta all'emissione spontanea di fotoni, dove l'atomo effettua una transizione da uno stato eccitato a uno stato inferiore. Il fotone emesso possiede un'energia data dalla differenza di energia tra tali livelli (con un'ampiezza finita dovuta alla durata dello stato eccitato, secondo il corrispondente principio di indeterminazione tra energia e tempo). È necessario un gran numero di fotoni perché si manifestino le proprietà dell'onda elettromagnetica.

Pertanto, non ha molto senso parlare di "ampiezza dei salti quantici". L'ampiezza, sia nella teoria quantistica che in quella classica, è legata all'intensità della radiazione, non alla sua frequenza. Nella teoria quantistica, in particolare, la frequenza è legata alla differenza di energia tra lo stato iniziale e quello finale dell'elettrone: .

Il parallelismo tra le descrizioni quantistiche e quelle classiche può diventare più chiaro se si considerano gli stati altamente eccitati dell'idrogeno (i cosiddetti stati di Rydberg). Le energie sono proporzionali a , e le differenze di energia proporzionali a . In uno stato altamente eccitato () l'elettrone si muove a una distanza media molto maggiore dal nucleo con una velocità molto inferiore. Questo significa un periodo più lungo e una frequenza più bassa della radiazione emessa ().

In un campo magnetico, gli elettroni emettono radiazione ciclotronica alla frequenza di precessione di Larmor , che corrisponde esattamente alla distanza costante tra i livelli di Landau, e alla frequenza giroscopica fondamentale , finché il moto non è relativistico. Infatti, per gli elettroni non relativistici il campo emesso varia con andamento periodico con la frequenza precedentemente citata, cioè gli elettroni scendono i livelli di Landau uno alla volta; ma quando essi diventano relativistici, nella descrizione classica il campo non varia più in maniera sinusoidale, ma contiene dei sovratoni (overtones), armoniche superiori della frequenza fondamentale (se si analizza il campo classico tramite serie di Fourier). Nel modello quantistico questo significa che si verificano salti che comportano una grande variazione del numero quantico, con : ad alte energie (alti valori di ), i livelli di Landau sono più ravvicinati.

Il modello classico presuppone che il moto sia continuo, ma la teoria quantistica rivela che, nel mondo reale, il movimento e la radiazione avvengono in modo discontinuo, con passi molto piccoli ma finiti.
donniedarko ha scritto:
21 gen 2022, 11:19
Non capisco perchè questi due casi sono così diversi.
Essi sono così diversi perché il caso classico coinvolge particelle cariche libere che oscillano; il caso quantistico, invece, descrive elettroni vincolati agli atomi che modificano i livelli energetici. Si tratta di stati elettronici molto diversi e di situazioni fisiche parecchio differenti.
donniedarko ha scritto:
21 gen 2022, 11:19
la frequenza dell'onda emessa dall'atomo non dovrebbe dipendere dalla frequenza con la quale l'elettrone effettua i salti quantici?
No, la frequenza con cui l'elettrone effettua i salti quantici determina l'intensità dell'onda emessa; la frequenza dell'onda è determinata unicamente dalla differenza di energia tra i livelli energetici.
donniedarko ha scritto:
21 gen 2022, 11:19
Oppure c'è una spiegazione quantisitca del caso classico
Riguardo il caso classico descritto nel testo, gli effetti quantistici sono trascurabili: le particelle cariche e il campo elettromagnetico possono essere trattati in modo classico con un'ottima approssimazione, dunque la Meccanica Quantistica non aggiunge nulla alla spiegazione.
Riguardo il caso quantistico descritto nel testo, la fisica classica non può nemmeno spiegarne l'esistenza: in fisica classica gli atomi sono inconcepibili, gli elettroni emetterebbero continuamente radiazioni ed entrerebbero a spirale nel nucleo. Pertanto, ovviamente, la Meccanica Quantistica è l'unica spiegazione di cui si dispone per spiegare tale esempio.
Più precisamente, esiste una spiegazione quantistica di una differenza chiave nei due casi. In Meccanica Quantistica, lo spettro energetico di una particella libera è continuo, ma quello di una particella legata è discreto: ciò significa che le loro interazioni con il campo elettromagnetico sono molto diverse. È possibile descrivere questo caso anche in senso quantomeccanico: si tratta di un'emissione indotta/Bremsstrahlung (radiazione di frenamento) dovuta a una forza oscillatoria esterna sull'elettrone, ad esempio a causa di un'onda elettromagnetica. In questo caso ciò che si produce è uno stato coerente del campo elettromagnetico. In situazioni classiche, ovvero con molti elettroni coinvolti, in oscillazioni collettive (una classica AC, corrente alternata), si ottiene un coerente stato di intensità piuttosto elevata, molto ben descritto da un'onda elettromagnetica classica. Esiste quindi una chiara descrizione quantistica anche delle situazioni classiche.
Poiché l'intera evoluzione di stato è descritta da un'equazione differenziale, non vi sono salti, ma soltanto l'evoluzione temporale dello stato quantico attraverso l'intera Hamiltoniana.
Obiezione. Schrödinger preferiva di gran lunga pensare all'emissione di radiazioni come a un processo continuo, e a come la frequenza di battimento di due "onde" di elettroni. Bohr, tuttavia, sottolineò correttamente che un atomo eccitato perde la sua energia a passi discontinui (salti quantici) e non in modo continuo come nella teoria classica: questo è, dopo tutto, ciò che conduce a spettri con frequenze discrete, piuttosto che a una sorta di fruscìo. Oggi gli sperimentatori possono persino conteggiare gli eventi di emissione-assorbimento. Si può anche non amare i salti quantistici (come Schrödinger), ma il modello di Bohr rimane essenzialmente intatto; solo il linguaggio è stato modernizzato: invece di orbite, adesso si parla di orbitali.
Chiarimento. In Meccanica Quantistica non vi sono salti: tutto è descritto da equazioni differenziali di evoluzione temporale. Sussistono, tuttavia, cambiamenti molto rapidi che sembrano (erroneamente) salti all'interno della risoluzione temporale delle rilevazioni. Naturalmente, oggi ciò costituisce un entusiasmante campo ove osservare realmente le transizioni atomiche, come negli esperimenti in cui si utilizzano impulsi laser ad attosecondi.

Riassumendo e concludendo. L'elettrone in un autostato energetico opportunamente definito "non si muove affatto", perché gli autostati energetici sono gli stati stazionari dell'elettrone (cfr. Nota, obbligatoriamente, in quanto tale proposizione potrebbe facilmente indurre in errore qualora non venga correttamente interpretata): è questo che risolve, a differenza della soluzione elaborata ad hoc da Bohr, la contraddizione tra la stabilità osservata degli atomi e il fatto che gli elettroni che si muovono su qualche orbita intorno al nucleo debbano generare una "radiazione di ciclotrone".
Inoltre, è chiaro che non vi siano salti quantici, ma transizioni tra un livello energetico e l'altro attraverso perturbazioni non incluse nella valutazione di tali livelli energetici: ad esempio, per l'atomo di idrogeno basta risolvere l'equazione di Schrödinger indipendente dal tempo per un elettrone e un protone, includendo l'interazione coulombiana tra di essi (nella consueta Couloumb gauge descrivente il campo elettromagnetico).
In questo modo, si trascura l'accoppiamento dei fotoni e degli elettroni al campo di radiazione elettromagnetica, che può essere preso in considerazione con la teoria delle perturbazioni (dipendenti dal tempo). Tale "perturbazione" porta alla conclusione in accordo alla quale gli autostati energetici approssimati calcolati in precedenza non sono in realtà stazionari, ma, a causa dell'interazione con il campo di radiazione, v'è una certa probabilità che l'atomo passi da uno stato atomico eccitato a uno stato atomico inferiore mediante l'emissione spontanea di un fotone con un'energia data dalla differenza di energia tra i due livelli atomici.

Nota. Se non chiarita e adeguatamente interpretata, l'affermazione
L'elettrone in un autostato energetico opportunamente definito "non si muove affatto", perché gli autostati energetici sono gli stati stazionari dell'elettrone
sembrerebbe (giustamente) non essere corretta, in quanto vi sono molti autostati energetici che rappresentano anche autostati di quantità di moto non nulla nei quali l'elettrone si muove. Infatti, la corretta definizione a riguardo è quella di un "autostato energetico vincolato". Si noti che l'autostato di quantità di moto di una particella libera è di fatto un autostato generalizzato nello spettro continuo di , non è un vero e proprio vettore dello spazio di Hilbert, pertanto non descrive uno stato fisicamente realizzabile di una particella. Un elettrone "in movimento" è descritto da un pacchetto d'onda, che si può ovviamente restringere a piacimento nello spazio della quantità di moto,



dove presenta un picco netto in prossimità di una certa quantità di moto (ad esempio, una gaussiana), ma non si tratta di un vero autostato energetico, ed è per tale ragione che esso descrive una particella che si muove con una quantità di moto prossima a .

Obiezione. A questo punto, in forza della differenza tra una distribuzione statistica e un valore di attesa, ci si potrebbe chiedere come un elettrone che "non si muove affatto" possa contribuire all'energia cinetica dell'atomo.

Chiarimento. Semplicemente, l'energia cinetica dell'elettrone in uno stato di legame dell'atomo di idrogeno non assume un valore determinato. In uno stato vincolato l'elettrone è descritto da una funzione d'onda:



dove rappresenta una soluzione dell'equazione di Schrödinger indipendente dal tempo, quindi del problema degli autovalori dell'hamiltoniana con autovalore . La distribuzione di probabilità è dunque stazionaria:



In questo senso, l'elettrone "non si muove".

Obiezione. Alla precedente asserzione, si potrebbe avanzare l'obiezione per la quale l'operatore hamiltoniano è un insieme di due termini, energia potenziale ed energia cinetica, e non ci sarebbe alcun problema nel considerare i valori di aspettazione per ciascun termine separatamente e arrivare a un numero definito per l'energia cinetica (media). Non v'è dubbio che la distribuzione di probabilità sia stazionaria, ma questo non significa che l'elettrone debba essere in quiete: analogamente, ciò consisterebbe nell'affermazione secondo cui la distribuzione maxwelliana di velocità implica che tutte le molecole abbiano la stessa velocità, coincidente con quella media, pari a zero. Una comune spiegazione per una particella in una scatola monodimensionale sostiene che la funzione d'onda è un'onda stazionaria, una sovrapposizione di onde di uguale ampiezza correnti a sinistra e a destra, corrispondente a una particella che va avanti e indietro. Solo in media la particella è a riposo: nel caso unidimensionale i livelli di energia più elevati sono sempre più distanziati, proporzionalmente alla velocità della particella (e alla frequenza della radiazione emessa, se è carica); la particella irradierebbe a frequenze decrescenti fino a raggiungere lo stato fondamentale.

Chiarimento. Il carattere stabile della distribuzione di probabilità, tuttavia, non implica in alcun modo che l'elettrone debba essere in movimento. Gli stati legati degli elettroni in un atomo non sono autostati né di quantità di moto né di velocità, perciò la questione della possibilità che gli elettroni si "muovano" o meno non attesta una risposta ben definita. In termini di energia, ciò significa che non sia possibile dividere il contributo dell'elettrone all'energia totale dell'atomo in parti "cinetiche" e "potenziali" in modo ben definito.


Obiezione. Una descrizione statistica delle velocità dovrebbe essere significativa anche se le particelle non si trovano in stati di onda piana. Dovrebbe essere impossibile discutere le interazioni onda-particella senza fare riferimento alle velocità, indipendentemente dal fatto che le particelle siano legate o libere.
(Piccolo inciso) Fisica classica e quantistica non sono così strettamente separate come potrebbe sembrare. Un interessante e affascinante articolo cui si possono avvicinare coloro che intendano approcciarsi alla Quantum Mechanics è Classical Plasma Phenomena from a Quantum Mechanical Viewpoint" di E.G. Harris (Advanced Plasma Physics 3: 157-241 (1969)).

Chiarimento. Parlare di elettroni che hanno velocità definite, quindi energie cinetiche definite, e che pertanto forniscono contributi di "energia cinetica" ben definiti all'energia totale dell'atomo è privo di significato. Si può ovviamente parlare di valori di aspettazione della velocità (o dell'energia cinetica) indipendentemente dallo stato in cui si trovi l'elettrone, ma questi non sono sufficienti per fondare ulteriori affermazioni sul fatto che l'elettrone contribuisca all'energia totale dell'atomo con un'energia cinetica definita. Si tratta di un consueto errore - riguardante la trattazione del Teorema di Ehrenfest - in cui solitamente si incorre. Infatti: è vero che , ma , dunque la divisione in energia cinetica e potenziale non è più ben definita.
Naturalmente, non è inutile parlare della quantità di moto di un elettrone in uno stato legato nel campo di Coulomb di un protone (approssimazione in cui si fissa il protone in un punto dovuto alla sua grande massa e lo si tratta come un campo di Coulomb esterno, all'interno del quale l'elettrone si "muove").
(Osservazione. Si può certamente "parlare della quantità di moto", purché non si avanzino affermazioni che richiedano che la quantità di moto abbia un valore definito qualora l'elettrone non si trovi in un autostato di quantità di moto.)
È chiaro che .
(Osservazione. Questo è un valore di aspettazione e non giustifica l'affermazione per la quale l'elettrone abbia un'energia cinetica ben definita che contribuisce all'energia totale dell'atomo, né è necessario effettuare una simile asserzione per rispondere a questioni riguardanti, ad esempio, se e in quali condizioni l'elettrone irradi.)
L'aspetto fondamentale è rappresentato dal fatto che non assume valori determinati. Nello stato fondamentale (onda s) la quantità di moto media è nulla e in questo senso l'elettrone "non si muove". Ciò che è importante, tuttavia, per la questione circa l'irradiazione dell'elettrone, è stabilire se la distribuzione carica-corrente risulti dipendente dal tempo, condizione che non si verifica, ed è per questo motivo che un elettrone non irradia quando sia vincolato da un potenziale (statico): quando un atomo si trovi in uno dei suoi stati stazionari, le velocità (correnti) si compensano e l'atomo non irradia.

Obiezione. Durante le transizioni tra due livelli, però, ci sono fluttuazioni di velocità/corrente non variabili che determinano la dipendenza angolare e la polarizzazione della radiazione emessa (e, naturalmente, la sua frequenza), proprio come nella teoria classica.

Chiarimento. Se vi fossero transizioni, non ci si troverebbe in un autostato energetico. Questo è chiaramente il modo abituale in cui il problema viene trattato nel contesto della teoria delle perturbazioni: l'hamiltoniana non perturbata rappresenta l'elettrone nel campo di Coulomb del protone (o, nella Quantum Mechanics non relativistica, si potrebbero considerare l'elettrone e il protone come un sistema a due corpi con la loro reciproca interazione statica coulombiana). Ciò definisce gli stati legati atomici e i livelli energetici. A questo punto, si ha qualche perturbazione, come un campo di onde elettromagnetiche esterno o, semplicemente, il campo di radiazione elettromagnetica quantizzata accoppiato all'elettrone (e al protone): quest'ultima forma più completa include anche l'emissione spontanea da un livello energetico atomico eccitato a uno inferiore.

Punto cruciale. Non esiste uno stato che descriva un elettrone con quantità di moto definita. Si tratterebbe di autostati di quantità di moto, ma questi sono i modi d'onda piana,



utilizzando le unità naturali con . Si tratta di "autofunzioni generalizzate", ma non quadraticamente integrabili, in quanto le componenti della quantità di moto hanno tutte uno spettro interamente continuo. Tutti gli autovalori sono .
Naturalmente essi sono anche autovettori generalizzati dell'energia cinetica (cioè, l'hamiltoniana della particella libera), e in effetti una particella disposta in tale stato "non si muove", nel senso che per ogni tempo è indipendente dal tempo, ma non è uno stato fisico, dal momento che il modo d'onda piana non è quadraticamente integrabile. Un autentico stato con quantità di moto ben definita ha sempre ampiezza di moto finita (che si può rendere arbitrariamente piccola), dunque non è un autostato di energia. Pertanto, la particella libera di fatto "si muove", ma non possiede una quantità di moto definita. Anche nello spazio della posizione si dispone di un pacchetto d'onda con un'ampiezza tale che (principio di indeterminazione di Heisenberg). Se si tratta un autostato di energia vincolata di una particella in un potenziale, essa "non si muove", poiché tutti gli autostati di energia descrivono una situazione in cui la particella non si muove; ma ciò implica anche che la particella non abbia una quantità di moto né un'energia cinetica definite: questo è il motivo per cui il valore di aspettazione dell'energia cinetica non è , sebbene la "particella non si muova". Per certi versi, si tratta chiaramente di una questione di semantica, riguardante il significato e l'interpretazione dell'assunto per cui un "oggetto quantistico" si muova. Non si dispone di una definizione comunemente accettata del termine "oggetto quantistico" che colleghi il formalismo con ciò che accade nel mondo reale: in un certo senso, da un punto di vista moderno, ogni cosa è un "oggetto quantistico", e la Quantum Field Theory descrive ciò che accade nel mondo reale, o almeno predice le probabilità di ciò che si osserva quando si misuri qualcosa. Dunque, anche uno ione in una Trappola di Penning (benché si possa pensare che esso si muova sempre e che, dunque, gli autostati energetici siano solo idealizzazioni adoperate per facilitare le descrizioni) "non si muove" se si trova in un autostato energetico, ma poiché anche in questo caso la quantità di moto non è determinata, essa fluttua.

La definizione "non si muove" potrebbe facilmente essere interpretata nella sua intrinseca implicazione che l'elettrone abbia una velocità e una quantità di moto definite, entrambe pari a zero: questo non è il caso di un elettrone legato a un atomo. Si tratta solo di una questione di semantica. Infatti, la corretta interpretazione vuole che lo stato quantistico descriva, se non altro, lo stato della particella: un autostato di energia è indipendente dal tempo, dunque un sistema disposto in tale stato "non si muove". Questo non implica che la velocità o la quantità di moto debbano essere entrambe eminentemente nulle: solitamente, nessuna delle due ha valori determinati.
Ultima modifica di Tarapìa Tapioco il 25 nov 2023, 1:31, modificato 6 volte in totale.

heidenmaverick
Messaggi: 1
Iscritto il: 7 nov 2023, 6:17

Re: frequenza di un onda EM in fisica classica e quantistica

Messaggio da heidenmaverick » 7 nov 2023, 6:20

La differenza tra i due casi è perché nella fisica quantistica lavoriamo con le energie degli stati quantistici, mentre nella fisica classica lavoriamo con l’energia media di un sistema.

Nel caso di una particella carica oscillante, la frequenza dell'onda elettromagnetica emessa dipende dalla frequenza di oscillazione, cioè dalla frequenza con cui cambia l'energia cinetica della particella. In questa situazione, la particella può essere considerata un sistema classico, in cui l'energia viene distribuita continuamente in uno stato continuo.

Nel caso di un atomo eccitato che emette un fotone, l'energia è distribuita in modo quantizzato tra un numero di stati specifici dell'elettrone, che rappresentano il suo livello energetico. Quando un elettrone si sposta da uno stato energetico a un altro, il fotone emesso ha un'energia pari alla differenza di energia tra i due stati. In questa situazione abbiamo a che fare con un sistema quantistico, in cui l'energia è distribuita in modo discreto a livelli discreti.

In breve, la differenza tra i due casi è che nel primo caso si tratta di un sistema classico in cui l'energia viene distribuita in modo continuo, mentre nel secondo caso si tratta di un sistema quantistico in cui l'energia viene distribuita in maniera quantizzata a un livello discreto.

Rispondi